L’Italia è una Repubblica fondata sui fiumi. La Costituzione più bella del mondo dovrebbe contenere anche questa frase. E l’Autorità di bacino distrettuale dell’ Appennino Centrale – che proprio di fiumi si occupa – lancia una newsletter per i fiumi e con i “contratti di fiume”, la forma più moderna, ecologica e partecipata di pianificazione di interventi in aree fluviali in grado di cambiare la percezione di un intero territorio.
Quanti Paesi possono vantare un intreccio così vasto, profondo e fecondo tra i corsi d’acqua e la loro storia, la natura, la cultura e lo sviluppo delle terre che attraversano? Nessuno.
Ecco perché c’è bisogno dell’”onore delle armi” per le nostre acque fluviali, di un riconoscimento autorevole, magari stabilire una giornata di ringraziamento: un Fiume Day come il Tevere Day e le altre feste sulle loro sponde lungo la nostra Penisola. Perché è davvero clamoroso quanto dobbiamo al nostro patrimonio idrologico unico al mondo.
Quanti corsi d’acqua abbiamo? Più di tutti i Paesi europei
Sono 7.494 di varia lunghezza, con 1.242 fiumi dei quali 11 superano i 200 km, 58 vanno oltre i 100 km e 135 sfociano nel vasto Mediterraneo che ci circonda e nei mar Tirreno, mar Adriatico, mar Ligure, mar di Sardegna, mar Ionio e mar di Sicilia.
I loro bacini idrografici complessivamente coprono l’83% della superficie nazionale, cioè quasi tutta. Tra loro c’è un solo fiume-mare, con Capitaneria di Porto a Fiumicino, ed è il nostro Tiberinus, il Tevere, che ritroviamo tra i primi venti fiumi per lunghezza (Po 652 km, Adige 410, Tevere 405, Adda 313, Oglio 280, Tanaro 276, Ticino 248, Arno 241, Piave 220, Reno 210, Sarca-Mincio 203, Volturno 174, Brenta 172, Secchia 172, Ofanto 170, Tagliamento 170, Ombrone 161, Chiese 160, Dora Baltea 160, Liri-Garigliano 158).
E se vogliamo dirla tutta, come italiani abbiamo anche il record del fiume più corto del mondo, ed è il piccolo Aril, simpatico immissario del lago di Garda al quale hanno ristretto anche il nome chiamandolo solo “Ri”: misura appena 175 metri e bagna la piccola frazione di Cassone di Malcesine dove hanno costruito in quei pochi metri di attraversamento ben tre ponti (altro record mondiale). E’ un vero fiume? Ebbene si, perché risponde alla definizione scientifica di “corso d’acqua continuo con portata più o meno costante”.
Sono talmente intrecciati che basta dare un occhio al “risiko” idrologico che confluisce nel Tevere per rendersene conto. E’ così complesso, complicato e interconnesso che viene caricato da 42 corsi d’acqua e tra i 20 più importanti troviamo Chiascio, Nestore, Nera, Paglia e Aniene. Ognuno di essi “beve” altri affluenti. Nel Nera a sua volta entrano gli affluenti Corno, Serra, il Velino dopo aver ricevuto il Salto che a sua volte ha ricevuto l’Imele e il Turano; nel Chiascio confluiscono Rasina, Tescio, il Topino con i suoi 5 affluenti Attone, Caldognola, Clitunno, Menotre e l’Ose; nel Paglia si riversa il Chiani; nel Nestore arrivano il Caina col suo affluente Formanuova, il Fersinone con i suoi Faenella e Fosso dè Pozzi, poi Fossatone, Fosso delle Lame, Fosso di Sant’Andrea, Genna, Calvana, Cestola e Rigo; nell’Aniene confluiscono la Marrana di Tor Sapienza-Tor Tre Teste, la Marranella, il Pratolungo. Ma lungo l’asta il Tevere riceve in Toscana l’Afra; in Umbria il Sovara, Puglia, Assino, Faena, Naia, Massa Martana; nel Lazio Farfa, Fosso della Patatona, Treja, Aia, Crèmera, Almone, Assino, Magliana, Marrana di Fiorano-Fioranello.
L’acqua non c’è. E si vede…
Tanti corsi d’acqua, lo sappiamo a nostre spese, sono come “questi fantasmi” di Eduardo De Filippo. Per gran parte dell’anno non si vedono, sono fiumare e canali in polvere, salvo irrompere violenti sotto nubifragi. Ogni cittadino, però, dovrebbe avere il dovere di considerarli come di famiglia, i più vecchi e i più saggi. Proprio come facevano gli antichi che li lasciavano il più possibile in pace e li consideravano Patres di Civitates e Urbes.
Segnavano nel bene e nel male la loro vita, li amavano e li temevano in un perenne odi et amo al punto che anche costruire ponti tra due rive non doveva scatenare l’ira funesta di forze misteriose e terribili, e i popoli italici facevano precedere quel manufatto sacrilego che interrompeva l’armonia della natura da riti propiziatori e sacrifici.
I Romani fecero di più, affidarono la costruzione dei ponti alla più antica e più alta carica sacerdotale, il Pontifex Maximus, titolare unico dell’Ars Pontificia. Pontefice è un “costruttore di ponti”.
I fiumi, del resto, custodiscono ancora tanti segreti che possiamo scoprire e riscoprire, essendo i nostri più antichi monumenti naturali. E se un tempo eravamo noi ad aver bisogno dei fiumi, oggi sono le nostre acque fondatrici ad avere un disperato bisogno di noi.
Barriere psicologiche che diventano barriere fisiche e si trasformano in barriere culturali
E’ vero, la prima reazione a pelle, dopo lo spavento o i morti e i danni di una piena, è di localizzarli non come natura protettrice ma come minacce incombenti, nemici, pericoli da allontanare il più possibile, anche alla vista. E in effetti tanti nei due ultimi secoli sono stati fatti sparire sottoterra, e anche dal nostro immaginario, intombati da espansioni urbanistiche a tratti folli. La paura ha sollevato poi alti e massicci argini, muraglioni, barriere psicologiche e simboliche che hanno fatto sparire man mano la grande cultura fluviale italiana, eliminando e riducendo il rapporto tra noi e le nostre acque. Sono stati considerati corpi estranei, e sono stati non solo deviati, strozzati, imbrigliati, rettificati e raddrizzati, incanalati e compressi come piste da bob con sponde irrigidite dal cemento, ma anche intombati. L’idraulica ottocentesca ci ha lasciato in eredità almeno 20 mila chilometri di corsi d’acqua rinchiusi in gallerie sotto le nostre città, pronti ad esplodere al primo nubifragio come bombe a tempo.
Che i fiumi tornino protagonisti assoluti anche sulla scena urbana
Va ridotta la lontananza che sconfina spesso nell’abuso, nell’aumento dei rischi e dell’inquinamento. Sono le infrastrutture ecologiche più vitali nel tempo del riscaldamento globale, esplosioni di natura e biodiversità anche nei percorsi cittadini. Nessuna città fluviale può vivere senza riconoscersi nelle loro acque correnti e viverle perché, alla fine, è lì che tutto si rispecchia: la qualità e l’efficacia del governo e della macchina amministrativa, le nostre azioni, i valori comuni, l’orgoglio civico, il rispetto della meraviglia di spettacoli naturali.Oggi però solo metà dei corsi d’acqua sono monitorati dalle Regioni, e da questa metà emerge che solo meno della metà, il 43%, raggiunge l’obiettivo di qualità per lo stato ecologico. Avvelenati da inquinamenti.
I fiumi hanno personalità, anche giuridica
Vale la pena segnarsi la data del 16 marzo del 2017, la giornata storica che ha fatto respirare e sperare tutte le acque del nostro mondo. E’ il giorno in cui il Parlamento neozelandese ha varato la legge “The Whanganui River Claims Settlement Bill”, riconoscendo al fiume Te Awa Tupua, chiamato Whanganui dai Maori, lo status di “legal person“.
Il fiume lungo 290 km, è il primo del Pianeta con personalità giuridica analoga a quella di noi umani, e da quel giorno è rappresentato legalmente e congiuntamente da un membro nominato dalla comunità Maori e da uno nominato dal Governo che considera il fiume “…un insieme indivisibile e vivente con tutti i suoi elementi fisici e spirituali, dalle montagne del centro dell’Isola del Nord fino al mare“, riconoscendo “…la profonda connessione spirituale fra il popolo Whanganui Iwi e il loro fiume ancestrale, le tradizioni e le usanze e creando una base solida per il futuro del fiume“.
In precedenza, una sentenza del Tribunal Constitucional della Colombia nel novembre 2016 aveva dichiarato il fiume Atrato, il suo bacino e affluente “un’entità soggetto di diritti a protezione, conservazione, mantenimento e ripristino a carico dello Stato e delle comunità etniche”. E, dopo avere esaminato l’istanza di un cittadino che chiedeva urgenti decisioni per proteggere l’equilibrio ecologico dei fiumi sacri indiani, con un’altra storica ordinanza l’Alta Corte dell’Uttarakhand, lo Stato federato dell’India settentrionale, due anni fa ha equiparato il Gange che attraversa le pianure del nord dell’India e il Bangladesh per 2.510 km, e il suo principale affluente Yamuna lungo 1.370 chilometri, a tutti gli effetti alle persone giuridiche.
Nell’ordinanza si legge che i due fiumi sono “…centrali per l’esistenza della metà della popolazione indiana e per la loro salute e benessere…respirano, sostengono e vivono con le diverse comunità dalle montagne al mare“, e per questo “esiste il massimo vantaggio nel conferire loro lo status di persona vivente-entità legale”. Significa che – da allora – chi li inquina o in qualche modo danneggia i loro equilibri ecologici, viene giudicato come se avesse arrecato danni a persone. Un monito molto serio per difenderli dal fortissimo livello di inquinamento in cui versano, così elevato che in alcuni tratti non è più sostenibile nemmeno la vita.
Se tutto si rispecchia nei fiumi, non vogliamo far rispecchiare le cose peggiori.
E per questo che il nostro impegno per far diventare il Tevere il 26° Parco Nazionale continua.
[Contributo di Erasmo D’Angelis. INFO: autoritadistrettoac.it]