Dal 2014 ho sempre cercato una parola per orientare i miei passi nei dodici mesi futuri: primo fu il cibo, poi il coraggio, la lentezza, la bellezza e – per il 2018 che va oggi in archivio – il patrimonio culturale.
Per il nuovo giro intorno al sole che inizia domani, vi propongo ben 5 parole!
Chi ha la bontà di seguirmi, sa quanto spesso mutuo il pensiero di Ernst Friedrich Schumacher, da cui mi sono fatto accompagnare nel Novecento (per capirci, a lui devo l’ispirazione del ricorsivo “piccolo è bello”).
Questa volta vi propongo di innamorarvi di un altro passaggio: “Le parole chiave dell’economia violenta sono urbanizzazione, industrializzazione, centralizzazione, efficienza, quantità e velocità”.
Proviamo insieme a immaginare quali possano essere gli anticorpi da attivare per sottrarci all’euforia di questo modello di sviluppo, che ci vorrebbe sempre più voraci e avidi, ma anche omologati, apatici e insensibili.
1. Comunità (verso urbanizzazione)
L’antidoto alla violenza delle periferie, dell’abbandono e del degrado è il più semplice da individuare e, insieme, il più difficile da realizzare: si chiama comunità.
Questa prima di 5 parole trova immediato conforto nel carisma di Papa Francesco, che ci suggerisce gli ingredienti per ricostruirne il tessuto: armonia, testimonianza e cura degli ultimi. Ciascuno di noi, nel suo piccolo, può fare la propria parte, come ci insegna il progetto “Periferia delle Meraviglie“.
2. Sobrietà (verso industrializzazione)
La violenza del consumismo non ha ancora estinto la sua voracità: produciamo, consumiamo e sprechiamo come se non ci fosse un domani. Direi dunque che la seconda parola potrebbe essere sobrietà.
Già Epicuro nel III secolo a.C. ammoniva circa le conseguenze di stili di vita stravaganti.
Ma anche senza inseguire nei boschi la ricerca di un’esistenza semplice, così come proposta dallo scrittore naturalista Henry David Thoreau, potremmo senz’altro contribuire ad una inversione dell’impronta ecologica semplicemente considerando che ogni spreco consuma anche il nostro tempo e i nostri talenti. Lo spreco consuma le nostre vite. Per provarlo sulla nostra pelle, partecipiamo a iniziative come la “Discesa Internazionale del Tevere“.
3. Ruralità (verso centralizzazione)
La violenza della centralizzazione ha prodotto città invivibili, mentre immense aree del Paese sono state dimenticate e abbandonate. Anche senza tornare costantemente all’esibizione di solitudine e al malinconico lamento che Franco Arminio dedica all’Appennino, è di tutta evidenza come si sia smarrita un’immensa riserva di valore, non solo economico, gettandoci alle spalle secoli di civiltà contadina.
La terza parola che propongo è ruralità. Non come nostalgia, ma come sguardo al futuro e agli italiani di domani. E come prospettiva, condividendo i valori del Manifesto BioSlow.
4. Semplicità volontaria (verso efficienza e quantità)
La violenza (non soltanto psicologica) del mantra dell’efficacia ha accompagnato decenni di sviluppo forsennato. Per lunghi anni io stesso ho lavorato per realizzarla, girando il Paese da Nord a Sud. Proprio per questo, ad un certo punto, ho assunto come termine di riferimento il downshifting, ovvero la pratica di diminuire le proprie esigenze di beni e servizi per convertire il tempo impiegato a guadagnare denaro in altro da spendere per seguire interessi personali o aiutare gli altri, o semplicemente cercare di essere più felici.
La quarta parola che vi propongo è dunque semplicità volontaria: meno quantità e più qualità. Ci sono molti progetti che vorrei segnalare e, su tutti, penso alle straordinarie avventure di vita di Vienna Cammarota, che ogni anno ci sorprende partendo per un lungo cammino in solitaria, offrendoci la pienezza dei suoi orizzonti.
5. Placidità (verso velocità)
Come antidoto alla velocità… vi sareste aspettati “lentezza”? Dite la verità!
Ma la violenza della velocità non è soltanto un’insidia che corrompe il rapporto tra tempo e spazio: è uno stato mentale che ci rende superficiali, fuggevoli, distratti e incapaci di vivere nel presente. Per questo vi propongo come ultima parola placidità.
Non si tratta più soltanto di rallentare! L’alibi della crisi è diventato una psicosi intergenerazionale per cui – nel nostro Paese – nessuno più coltiva aspettative, mantenendo un profilo bassissimo e spesso totalmente disarmante.
E’ venuto un tempo in cui occorre rialzarsi e contrastare con fermezza, pur senza perdere equilibrio e gentilezza, tutto ciò che ci induce ad aspettare che passi la nottata.Per il 2019 invito tutti ad essere placidi, dunque, ma anche fermi nel combattere l’indifferenza, l’apatia e la cronica mancanza di contenuti, di approfondimenti, di interiorità, di comunanza e di capacità di volgere lo sguardo al futuro.
Noi placidi non siamo banalmente ottimisti ma persone che non perdono la speranza. Non siamo immobili ma pratichiamo l’atto più rivoluzionario di questa epoca: sottraiamo energie alla competitività per trasformarle in sinergie e in economia circolare.
Se siete arrivati fin qui, spero di non deludervi se il progetto che vi segnalo – e che vi chiedo di seguire da vicino nel nuovo anno che s’avanza – si chiama All Routes lead to Rome.
Felice e prospero anno nuovo!