Io viaggio. Italiano.

NOTA BENE: questi appunti sono stati scritti il 6 marzo 2020, dopo la riunione del Consiglio dei Ministri che aveva approvato il primo provvedimento di introduzione delle misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 (decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6). Dunque prima della chiusura dei parchi e del divieto di uscire di casa (ma anche molto prima della campagna nazionale "Viaggio in Italia").

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Una sola risposta è possibile per fare fronte alle conseguenze dell’impatto mediatico del COVID-19: tornare a viaggiare italiano.

Non siamo in guerra!

Turisti con mascherina Covid-19

Davvero, vivo in tempi bui! Una fronte distesa appare come insensibilità. Chi ride, la notizia atroce non l’ha saputa ancora”. Così Bertold Brecht iniziava la sua epistola “A coloro che verranno”. Era il 1939 e, allora, la notizia atroce era portata da venti di guerra.

Oggi la guerra è un esercizio finanziario. Indici di borsa che impazziscono per la gioia degli speculatori sulla pelle di milioni di piccole imprese e consumatori, ovvero di tutti noi, colpiti là dove già eravamo più deboli e fragili. Con la complicità ottusa di intere classi dirigenti e dei media che raccolgono maggiori entrate pubblicitarie quando le notizie generano picchi di ascolto.Inutile cercare le differenze. Una guerra è una guerra, signori, mentre un virus influenzale – per quanto maligno – non potrà generare un olocausto: non falcidierà intere generazioni mandate al fronte per difendere il sacro suolo della Patria, né esploderà nelle nostre case come i “confetti” gettati dai bombardieri. Chiedete a chi, in questi stessi giorni, vive accampato lungo i confini della Siria, per capire la differenza.

Oggi la guerra è un esercizio finanziario. Che non si ferma indossando una mascherina. Né fermando la vita delle città, dei borghi, delle piazze, dei teatri, dei cinema, degli aerei, dei treni, delle riunioni e di tutti i motivi di comunanza e condivisione.
Certo, le precauzioni sono importanti. Occorre seguire alcune prescrizioni e fare attenzione a non smarrire l’educazione che ci avevano consegnato le nostre nonne e i nostri padri: bisogna lavarsi le mani spesso e coprire la bocca quando si starnutisce (e magari anche quando si sbadiglia, gesto dimenticato). Possiamo anche evitare di baciare tutti per qualche tempo, tornando alla sana vecchia e cameratesca pacca sulla spalla… ma non può diventare una fobia collettiva!

Non chiudete i parchi!

Chiudere scuole, palestre e piscine sarà anche una necessità di sicurezza nazionale, ma non ci impedisce di uscire di casa e fare due passi al parco. Non impedisce una gita fuori porta. Potrà anche chiudere gli stadi, ma non si è mai sentito che possa fermare una camminata sportiva, un esercizio di jogging, di nordic walking o una pedalata in campagna, magari in un’area protetta o lungo antiche vie di storia e di cultura, da soli o in compagnia.
Il pericolo, se mai, è dato dalle auto che sfrecciano senza limiti (e senza pudori) provocando 3.500 vittime ogni anno in Italia, con un allarmante +7% rispetto all’anno precedente.

La crescita, nel turismo, non è un dato percentuale

Viaggio in Italia

Allo stesso modo, ragionando di turismo, non è detto che dobbiamo per forza – anche nel 2020 – registrare un segno positivo decimale nella classifica dell’incoming. Anzi, se guardate bene, quel segno positivo finisce quasi integralmente nelle poche destinazioni celebrate – le nostre città d’arte – che sono fin troppo assediate dai fenomeni di overtourism, con conseguenze drammatiche!
Sapete che negli ultimi dieci anni ben 70 mila botteghe hanno dovuto chiudere i battenti? Secondo i dati Confcommercio («Demografia d’impresa nelle città italiane») nei centri storici crescono soltanto bar e ristoranti, ma con un costante abbassamento della qualità media, per rincorrere i prezzi al ribasso delle paninoteche e per acciuffare i turisti che continuano ad abbassare la loro permanenza media e – soprattutto – la loro spesa media.

Forse, come già altri hanno provato a dire, questa pandemia delle intelligenze emotive potrebbe essere un’occasione per rallentare e capire quale sia il turismo che fa bene al nostro Paese. E’ questo mordi-e-fuggi che giunge nella penisola delle meraviglie in cerca dello stile di vita italiano e riparte il più in fretta possibile denunciando la nostra incapacità organizzativa nei trasporti, nei musei, nei servizi alla persona, nella integrazione tra prodotti turistici che competono soltanto sulla leva del prezzo, al ribasso, scivolando costantemente verso un tutto indistinto?
Perché, domani, dovrebbero tornare? Perché dovrebbero alimentare il valore della nostra identità se ad ogni assaggio di Bel Paese rimangono mortificate le loro attese, attraverso percezioni di precarietà, insicurezza, pressappochismo, maleducazione, quando non vero e proprio abusivismo rampante?

Non è petrolio! Smettiamola di concentrarci sull’offerta e iniziamo a indagare (scientificamente) la domanda

Abbiamo il più grande patrimonio del mondo”, qualcuno continua a dire. “E’ il petrolio d’Italia”. Peccato che non ci siano più personalità come Enrico Mattei con le sue straordinarie visioni, né una rete di distributori che valorizzino i nostri giacimenti culturali. Ai miei studenti indico sempre l’esempio della Reggia di Caserta: è sufficiente un grande patrimonio per garantire la bellezza tutto attorno e trasformare i luoghi in destinazioni turistiche? Quale indotto riesce a ricavare la Città di Caserta dal turismo nel sito Unesco? E Benevento? E Agrigento?
Lo stesso si potrebbe dire per ogni altro attrattore, persino per quelli situati al centro delle celebratissime città d’arte: figuriamoci il tessuto di borghi, paesi, villaggi rurali, agriturismi, rifugi e masserie che faticosamente rimangono a presidio delle montagne, delle aree interne più fragili e marginali.

Ecco, dunque, rallentiamo. E decidiamo di viaggiare italiano.

Italia che emoziona

Immaginiamo di ripartire alla scoperta del nostro Paese, lentamente, a piedi, in bicicletta, a cavallo, in canoa, a bordo di un treno d’epoca o con gli straordinari mezzi che l’evoluzione del trasporto elettrico mette a nostra disposizione (compresa la micromobilità con segway e overboard, oppure anche con auto, bici e monopattini elettrici…).

Non limitiamoci a dire che “abbiamo un grande patrimonio”, se poi nemmeno lo conosciamo: immergiamoci nel tessuto vivo del Paese attraverso le decine o centinaia di percorsi verdi che uniscono le nostre città con le coste e con l’entroterra: sarà un utile esercizio di riappropriazione dell’identità collettiva. Sarà un modo per condividere realmente le nostre straordinarie eccellenze produttive. E un tempo per riscoprire che siamo davvero quel popolo ospitale che ci vantiamo di essere, con uno stile di vita altrove irraggiungibile.

Chi, come noi, si diletta nella ricerca, provi a fermarsi. E misurare seriamente quale sia l’Italia che vogliamo lasciare agli italiani di domani. Ma anche alle comunità dei viaggiatori, sempre più informati ed esigenti, che non si accontentano più di un livello dei servizi con l’orologio fermo al Novecento.

Se questo COVID-19 ci costringe a rallentare, forse è per offrirci una grande opportunità.

Avviamo una grande operazione di customer satisfaction che ci offra i parametri su cui lavorare per migliorare le performance di tutto il nostro sistema dell’accoglienza, dell’ospitalità, della ristorazione e delle produzioni agricole e artigianali.
Ripartiamo da noi, dalle famiglie, dalle scuole, per tornare a scoprire i confini regionali, i fiumi, i laghi, le isole, i vulcani e l’intera geografia di questo santo Stivale!Forse dovremo rinunciare a qualche punto percentuale, ma smetteremo di dipendere dalle OLTA internazionali e di lasciare loro la crema del nostro profitto. Per distribuirlo meglio e più equamente su tutto il territorio nazionale, che nemmeno noi conosciamo nella sua straordinaria ricchezza.
Forse meno è meglio. E forse è venuto il tempo di dircelo.

#ioviaggioitaliano

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