Il bel volume di Umberto Eco è giunto tra le mie mani come dono di una carissima amica. L’ho letto avidamente, cercando di trarne più spunti possibile. La storia, in fondo, sta alla bellezza in una stretta relazione con il tempo, attraverso prodotti culturali apparentemente assoluti e immutabili che – in realtà – hanno assunto volti diversi a seconda del periodo storico e dei luoghi.
Cos’è la Bellezza e da cosa può essere rappresentata?
Il professor Eco, attraverso un excursus ampio e corposo, costruisce un percorso affascinante e interessantissimo, in un saggio che fa riferimento all’arte senza essere un libro di storia dell’arte. Le immagini di opere d’arte sono affiancate da scritti contemporanei, che vanno dal periodo greco fino all’attualità.
Il concetto di Bellezza è stato interpretato differentemente nel corso della storia e spesso anche all’interno di un medesimo periodo e nello stesso ambiente. Non esiste un valore assoluto e universale e non è identificabile esclusivamente con la bellezza artistica. Sono utilizzate le opere d’arte perché…
“Sono stati gli artisti, i poeti, i romanzieri a raccontarci attraverso i secoli che cosa essi consideravano bello, e a lasciarcene degli esempi”.
Per questo il libro rappresenta un’analisi comparata tra ideali di bellezza espressi nel corso della storia dell’arte e nella letteratura in vari periodi storici e in differenti ambiti culturali.
“La Bellezza non è mai stata qualcosa di assoluto e immutabile ma ha assunto volti diversi a seconda del periodo storico e del paese: e questo non solo per quello che riguarda la Bellezza fisica (dell’uomo, della donna, del paesaggio) ma anche per quanto riguarda la Bellezza di Dio, o dei santi, o delle idee…”.
Bello è anche buono?
Bello è un oggetto o qualcosa che ci piace e che, spesso, è anche buono, così come s’interpreta con la kalokagathia (in lingua greca, καλοκαγαθία) della cultura greca classica. Si attribuisce alla bellezza un carattere utilitaristico che è tale se l’oggetto ci appartiene, mentre apprezzare le cose belle vuol dire scinderle dall’idea del possesso. Bello è anche ciò che non abbiamo e mai potremmo avere, come un oggetto prezioso non accessibile alle nostre tasche, o un’opera d’arte che è patrimonio pubblico. Il Buono coinvolge la dimensione morale e ci induce a possederlo.
“È bello qualcosa che, se fosse nostro, ci rallegrerebbe, ma che rimane tale anche se appartiene a qualcun altro. Naturalmente non si considera l’atteggiamento di chi, di fronte a una cosa bella come il quadro di un grande pittore, desidera possederlo per l’orgoglio di esserne il possessore (…). Queste forme di passione, gelosia, forme di possesso, invidia o avidità, non hanno nulla a che vedere col sentimento del Bello.”
Il Bello interessa qualcosa che ci dà piacere, al di là del possesso, rappresenta la percezione della bellezza svincolata da un carattere utilitaristico. Non rientra nell’attenzione del libro il Bello che genera possesso, ma quello che interessa i sensi e l’anima.
L’estetica ha il compito di definire i caratteri della Bellezza, di qualcosa che suscita emozioni piacevoli. Non sempre, nel corso della storia, e all’interno dello stesso periodo storico, la Bellezza ha avuto un’unica interpretazione e non è un valore universale scindibile dal contesto storico.
Da Pitagora a Guido Gozzano
Storia della bellezza non è uno studio sull’arte: questa vi entra tutte le volte che si intreccia con la percezione della bellezza disinteressata; nemmeno una storia dell’estetica, ma uno studio che ripercorre la storia di una cultura da un punto di vista iconografico e letterario-filosofico.
Il Bello che provoca il desiderio di possesso non rientra nel presente studio, perché esso dipende dalla vanagloria di chi è coinvolto in tale sentimento; mentre è oggetto di disanima il bello che induce alla contemplazione in un testo che parte da Pitagora per giungere ai tempi nostri.
Posto che il Bello è da sempre temporale e soggettivo, apollineo o dionisiaco, o entrambe le cose, all’interno del contesto storico in cui è maturato, si associa alle mostruosità del Medioevo o alla armonia delle sfere celesti nel Rinascimento. Ha assunto forme anomale nel Romanticismo, fino a pensare che sia bello un amore che si consuma fino alla morte, creando il topos letterario amore-morte, perché bello è tutto ciò che sconvolge i sensi e l’anima. Il Bello è diventato artificio e diversivo nel Novecento decadente (si pensi a tutta la corrente dell’Estetismo) o anche argomento scherzoso o dissacrazione come in Guido Gozzano.
E’ l’arte che determina la bellezza
Questo inoltre non è connesso con la sola arte, ma originalmente era una qualità della natura (una bella luce di luna, un bel frutto, un bel colore). Difatti “ars” in latino non è solo quella dell’artista, ma anche quella di un costruttore di barche o di un barbiere, solo molto più tardi si è coniato il termine di “belle arti”.
Può essere bella anche una riproduzione del brutto o della natura in tempesta; la rivoluzione risale alla riformulazione della categoria estetica del “Sublime” ripresa dallo pseudo-longino greco; per cui è sublime ciò che scatena un’esaltazione della ragione e una depressione dei sensi. E’ quindi un sentimento “misto”, come per il sensista inglese Burke e per l’illuminista Kant. Sublime per definizione è l’infinito, da cui la celeberrima lirica leopardiana.
Non abbiamo in la Storia della bellezza un trattato di arte, ma un saggio letterario-filosofico, che si riferisce all’arte, solo quando questa è unita. Per un artigiano è bello, ad esempio, il suo prodotto, un vaso, un orcio o un tripode. Per un barbiere, la sua bottega e il suo rasoio. Ma questi non assurgono alla dignità di “Bellezza” fintanto che l’arte non li rappresenti.
Quindi è spesso l’arte, ad appannaggio di pochi, che determina la Bellezza.
Che però viene percepita anche da chi artista non è.